Il 17 giugno 2017 la città di Messina ha finalmente aperto le porte del proprio museo in una versione completa. Si tratta del MuMe, il Museo Interdisciplinare Regionale di Messina, che già aveva visto inaugurato un primo significativo nucleo (che includeva il settore archeologico e l’ala nord) il 9 dicembre dell’anno precedente. Ma la vicenda ha radici ben più lontane nel tempo.
In seguito al terremoto del 1908 che rase quasi interamente al suolo la città, il museo (all’epoca Museo Civico Peloritano) che aveva sede nell’ex Monastero di San Gregorio, fu spostato nei locali dell’ottocentesca ex filanda Mellinghoff – adesso sede di mostre temporanee – e nella adiacente spianata dell’ex monastero basiliano di San Salvatore dei Greci, dove risiede tuttora. La struttura del monastero è stata devastata dal sisma ma se ne conservano alcune parti in situ che, peraltro, sono state incluse nel nuovo percorso espositivo. Lo sterminato spazio all’aperto fu sfruttato con l’intento di dare un ricovero a tutto il materiale storico-artistico proveniente dalla città terremotata, che vide un primo lavoro di sistematica ricognizione ed inventariazione solo negli anni cinquanta del Novecento.
La realizzazione della nuova sede espositiva ha inizio nel lontano 1985 e, dieci anni dopo, la struttura viene ultimata. Ulteriori interventi sono proseguiti fino al 2009, e l’anno successivo sono iniziate le procedure che hanno portato all’attuale configurazione degli spazi e del percorso espositivo.
Una storia dunque particolarmente travagliata, dovuta sia a difficoltà di natura economica che alla vastità e complessità degli spazi, oltre che all’ingente quantità di materiale conservato. Se si considera l’area nel suo complesso, includendo quindi anche gli spazi esterni ed i depositi, si arriva infatti ad una superficie di oltre 17000 mq.
L’attuale allestimento, frutto di una felice collaborazione fra la direzione e la progettazione del museo, ospita le opere selezionate in una esposizione che punta molto sull’aspetto didattico. Oltre alla presenza di pannelli esplicativi, i manufatti sono sistemati seguendo un itinerario cronologico che differenzia cromaticamente le varie epoche: il colore blu è stato scelto per il Medioevo, il verde per il Primo Rinascimento, il giallo per il Rinascimento, il rosso per il Manierismo, il bruno per Caravaggio ed i caravaggeschi, il viola per il Seicento, l’arancione per il Settecento ed infine il rosa per l’Ottocento. L’apertura degli spazi lascia che le sale interagiscano fra loro, creando degli scorci suggestivi in cui alcune opere, sapientemente isolate lungo le pareti ed i pannelli, continuano ad essere visibili da un ambiente all’altro come fossero punti di fuga di una prospettiva rigorosa, memori di quei criteri espositivi con cui il grande architetto Carlo Scarpa ha fatto scuola.




Il museo ospita capolavori della storia dell’arte fra cui due Caravaggio e due Antonello da Messina (che, va detto, erano già presenti nella sede vecchia come molte altre opere) e si arricchisce di manufatti di grande importanza per la città e che hanno tutti contribuito alla sua storia. Si compie un vero e proprio viaggio nel tempo attraversando gli ambienti in cui si svolgono le tappe fondamentali della vita passata di Messina. Un percorso indubbiamente ricco di fascino, che si conclude in modo significativo con un’opera del 1904: ci si ferma ad un passo dal sisma, a soli quattro anni da quell’evento che avrebbe cambiato per sempre Messina e i suoi cittadini.
Ma in realtà il percorso prosegue all’esterno, sebbene non in senso cronologico: le aree verdi circostanti custodiscono una ricca serie di manufatti lapidei provenienti da ogni angolo della città, dando vita ad un vero e proprio “museo all’aperto” di grande varietà stilistica.
Un risultato del genere è motivo di interesse ed entusiasmo per qualunque visitatore. Ma, in un modo un po’ diverso, riempie di orgoglio gli occhi e il cuore di un visitatore messinese (come la sottoscritta), che ritrova nello snodarsi di quegli ambienti la rivincita della propria città. Una città che rientra in pieno possesso della sua storia, offrendola al pubblico in una degna veste per poterne celebrare lo splendore ad ogni passo che si percorre.

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