Diario di (una) quarantena | Intervista a Matilda Mancuso

Se uno sa quello che vuole sa anche come raggiungerlo, no?

Io e Matilda ci siamo conosciute qualche mese fa, in occasione di un progetto per un museo fiorentino.

Nell’ultimo periodo mi sono imbattuta in una serie di suoi disegni, realizzati con l’avanzare della quarantena e che in qualche modo mi hanno lasciato qualcosa dentro. Pur nella loro semplicità grafica e di contenuti – o forse proprio per questo – mi hanno dato un’occasione per riflettere. Mi hanno fatto sorridere ma anche sentire capita. Che poi, se ci pensiamo, sono le due cose di cui abbiamo più bisogno in un momento difficile.

Questo è, in effetti, il diario di una quarantena. La sua. Ma che è stata un po’ anche la mia e forse, per certi aspetti, quella di tutti noi.

Raccontami un po’ di te: come ti sei formata e come sei arrivata a quello che fai adesso.

Ho iniziato all’Istituto d’Arte ad Ascoli Piceno, nelle Marche. Poi sono venuta a Firenze e ho frequentato la Nemo Academy, una scuola di arti digitali. Nel frattempo ho lavorato come vj nelle discoteche nelle Marche, in Abruzzo, in Toscana. Quindi ho portato avanti cose diverse che si stanno sviluppando insieme, sia con il video che con l’illustrazione. Mi sono laureata in Lingue, letterature e studi interculturali. Poi ho deciso che nella mia vita avrei voluto fare l’artista e pian piano ho iniziato a rimboccarmi le maniche, perché ovviamente non è facile. Però se uno sa quello che vuole sa anche come raggiungerlo, no? Sono un po’ di quest’idea.

Hai lavorato anche come illustratrice di libri?

Sì, ho lavorato con una casa editrice e poi per un privato. È un campo molto difficile, perché c’è un mercato ampissimo e devi rientrare in certi standard. In un certo senso non sei più nemmeno artista ma un tecnico, il che non mi entusiasma. Preferisco avere un mio progetto, una mia idea e portarla avanti. Poi magari proporla anche ad una casa editrice volendo, ma che sia un’idea mia.

Questa è una cosa che fa davvero piacere sentire, soprattutto in questo periodo storico. È sempre più difficile sentir dire a qualcuno “io voglio fare l’artista”. È un desiderio che non hanno più in tanti, intendo nel senso più genuino del termine. Sicuramente perché si è sempre più disillusi dalle circostanze. Così come è sempre più difficile voler fare il musicista, o l’attore, ma sono tutti dei mestieri anche questi e bisogna che ce lo ricordiamo.

Sì, non è facile ma secondo me è bello così. Mi dà forza pensare “ho questa idea bellissima e la voglio realizzare!”. Secondo me se hai la libertà di fare quello che vuoi gli altri se ne accorgono e lo apprezzano. E poi alla fine a lavoro si impazzisce sempre, sia che si faccia una cosa bella sia che si faccia una cosa brutta…almeno facciamola bella!

Al momento lavori come illustratrice?

Beh, lavorare ora come ora è un parolone. Prima del lockdown stavo portando avanti questo progetto artistico in cui disegnavo in digitale sui corpi in movimento in collaborazione con Dhakkan. Si facevano spettacoli dal vivo in giro per Firenze, ne abbiamo fatto uno anche per lo scorso capodanno. È un progetto che va abbastanza bene, ma ora il lockdown ha un po’ devastato lo spettacolo dal vivo, è stato un momento difficile per me; avevamo una data il 21 marzo per la quale abbiamo lavorato a lungo, e da un giorno all’altro sentirsi dire “non se ne fa niente” è stata dura.

Posso immaginare. Fra l’altro in questo momento è difficile riuscire ad immaginare quando si potranno riprendere in mano iniziative simili.

Sì, e poi tutte le cose alle quali si pensava prima del Covid ora sono completamente diverse. Ci sono tematiche da riaffrontare e rivedere.

Certo, soprattutto se si tratta di iniziative che è necessario apprezzare dal vivo. Non tutto si può trasporre sul digitale, secondo me.

No, infatti sono abbastanza contro lo spettacolo dal vivo trasferito sul digitale. Motivo per cui ho messo questa cosa in pausa per questi mesi, se ne riparlerà quando si avrà la possibilità di avere un pubblico “vero”.

Se hai la libertà di fare quello che vuoi gli altri se ne accorgono, e lo apprezzano.

E qui arriviamo al tuo progetto di questo periodo, il diario di quarantena. Vuoi dirmi come è partito, come è nata l’idea?

Un po’ la batosta di questo spettacolo che non si poteva fare, un po’ lo shock di questa quarantena improvvisa. Ho passato il primo mese abbastanza giù, chiedendomi: che ne sarà dell’arte quando sarà finita questa storia? Come si può reagire a tutto questo? Una cosa che mi devastava era tutto questo bombardamento mediatico di cose da poter fare: continue proposte di ogni genere ovunque, online. Volendo uno poteva stare tutto il giorno al computer a farsi bombardare di input dall’esterno senza riflettere su quello che stava vivendo, che poi credo fosse la cosa più importante. Io ho sentito il bisogno di chiedermi: adesso sono io, qui, da sola…e che si fa? Avevo bisogno di fermarmi un attimo. Anche perché questa era una cosa nuova; il fatto di avere tutto a disposizione su internet e non affrontarsi, non sfruttare questa occasione che abbiamo avuto per occuparci di noi stessi fondamentalmente. Sembrava tutta una fuga da questo occuparsi di sé stessi. E magari, almeno nel mio caso, chiedersi: dove sono arrivata? È questo il posto in cui voglio stare? È questa la vita che voglio fare? Quindi quello che volevo fare era sfruttare questo momento come un’opportunità e non come un momento catastrofico. Allora mi sono detta: accetto di stare male, accetto di aver subito questo shock e poi magari piano piano riesco a rialzarmi. Grazie a questo diario, che mi ha aiutato a raccontarmi in maniera differente e anche a vivermi in maniera differente, sono riuscita ad emergere in un certo senso.

18 aprile 2020

Per gentile concessione dell’artista

Sicuramente è una riflessione importante dal punto di vista personale, anche perché in qualche modo la quarantena abbiamo dovuto affrontarla tutti. Penso però che forse chi lavora con la creatività l’abbia vissuta diversamente e in un certo senso in maniera doppiamente intensa, perché anche la creatività in qualche modo ha subito dei cambiamenti. Vorrei quindi chiederti se è cambiato, in questo periodo, il tuo rapporto con la creatività e con lo sviluppo delle idee.

Sì, fondamentalmente perché con la quarantena ho avuto la possibilità di lavorare per me stessa, senza dover ascoltare una casa editrice che ha un testo pronto su cui disegnare e per cui vuole un particolare stile, o uno spettacolo per il quale devi seguire certe regole. Ho lavorato senza avere un committente, per me stessa e non per gli altri. Il creativo lavora sempre per sé stesso, in realtà, ma ci sono pur sempre dei limiti che l’altro ti impone. Quindi non dover lavorare per un potenziale cliente ha modificato un po’ la mia concezione dell’arte.

27 aprile 2020

Per gentile concessione dell’artista

Il fatto di fermarti a riflettere su di te e su come ti stavi vivendo questo momento, e di poterlo tradurre in forma visiva – dandogli quindi una forma – ti è servito? Ha avuto anche degli effetti terapeutici in un certo senso?

Sì, perché mi ha dato la possibilità di raccontarmi, ma in maniera diversa; non semplicemente rispondendo alle solite domande “come stai?” “che fai?” stando in videochiamata con qualcuno, ma a modo mio. Le tematiche che affrontavo erano abbastanza superficiali, ma indispensabili in quel momento. Anche perché nessuno aveva voglia di cose troppo impegnative; eravamo fragili e continuamente assillati da notizie pesanti.

3 maggio 2020

Per gentile concessione dell’artista

Questa esperienza ti ha fatto scoprire qualcosa di nuovo su di te? Intendo non solo come illustratrice.

Sicuramente. Ti parlo della quarantena in parallelo con il diario, perché quello che ho vissuto l’ho disegnato. Mi ha tirato fuori una grande forza, la consapevolezza di poter affrontare un periodo così difficile, da sola – anche perché i miei coinquilini erano andati via. Ritrovarmi in casa da sola, con il buio e il silenzio che c’erano all’inizio mi faceva paura. Con la famiglia lontana e gli amici che non c’erano più…mi faceva un sacco di paura. Anche uscire e vedere le strade vuote…non c’era più nessuna sicurezza base, come se tutto fosse crollato. La notte, le prime volte, mi svegliavo di soprassalto perché avevo sognato il terremoto. All’inizio era tremendo. Poi piano piano anche questo sogno si è affievolito, è diventato più leggero e quindi sono riuscita a capire che ho affrontato la mia paura e sono riuscita a superarla in qualche modo. E i disegni mi hanno aiutato ad esorcizzarla.

23 aprile 2020

Per gentile concessione dell’artista

Anche perché, pur trattando come dicevi tu prima delle tematiche non particolarmente impegnate, il semplice fatto di trattarle ha dato loro un senso, una forma. E io penso che i disegni siano serviti a te che li hai fatti, ma anche a chi li ha visti. Per lo meno, a me hanno fatto compagnia. Mi hanno strappato un sorriso ma mi hanno anche fatto pensare, non erano solo delle vignette carine da guardare.

Era anche questo il mio obiettivo, poter dire agli altri con un sorriso: dai, ce la possiamo fare!

Rispetto ad altri tuoi progetti, ci sono dei punti di contatto con delle esperienze precedenti o è qualcosa di completamente nuovo?

In realtà ho già vissuto una sorta di quarantena in passato. Ero in Spagna, in una situazione un po’ di disagio dal punto di vista lavorativo. Ad un certo punto ho detto basta, non ho più voglia, mi chiudo in casa e disegno. Mi avevano commissionato un libro di illustrazioni, e in quel momento di disagio e lontananza da casa con la possibilità di disegnare sono riuscita ad uscirne felice. Sono riuscita ad affrontare un periodo difficile della mia vita, tirandomi su grazie al disegno. Un lavoro anche personale quindi, terapeutico, nel riuscire ad affrontare la situazione disegnando.

Ti sei fidata della tua arte, insomma. E ti sei affidata a lei.

Sì, disegnare mi salva sempre.

E dal punto di vista grafico, invece, il diario di quarantena mi sembra molto diverso dai tuoi lavori precedenti. Mi riferisco proprio al linguaggio visivo. È una cosa voluta?

Sì, un po’ perché avevo bisogno di disegni molto veloci che immortalassero quel momento, qualcosa di immediato. Volevo poter fare un disegno nell’arco di un pomeriggio senza perdermi troppo nel particolare, nella luce, nel chiaroscuro o nel colore. Quindi dovevo riuscire in poco ad esprimere un concetto semplice. Un po’ ho tratto ispirazione dal fatto di essermi avvicinata al mondo dei videogiochi, per me completamente nuovo, al quale mi sono approcciata nel primo periodo di quarantena. Quindi l’azione di costruire qualcosa: una casa, un giardino, un orto…poi mi sono detta: ma io queste cose le so disegnare! Non ho bisogno del gioco che mi dia il fiore da piantare, lo posso direttamente disegnare io. E quindi sicuramente questo mi ha un po’ influenzata. 

7 maggio 2020

Per gentile concessione dell’artista

Disegnare mi salva sempre.

E probabilmente è anche questo ad avere un effetto terapeutico; il fatto di poter costruire da zero una realtà diversa da quella in cui mi trovo effettivamente, e che fa un po’ schifo in questo momento.

Per esempio ti fai bello il balcone. E disegnandolo poi l’ho fatto anche nella realtà, sono andata al mercato e mi sono comprata dei fiori. Dovendo stare in casa per dei mesi, almeno rendiamocela gradevole e affrontiamo il fatto di stare chiusi nell’appartamento. All’inizio c’era un po’ questa moda dei balconi, con i flash mob a tutte le ore. Allora da qui è nato il disegno, basato sul contrasto: sì, mi sono fatto bello il balcone ma la mia vita in questo momento fa comunque schifo! Ti ritrovi poi comunque da solo nel tuo disagio.

20 aprile 2020

Per gentile concessione dell’artista

Un altro disegno che mi ha molto colpito è questo: “mentre fuori chiudevano tutto, noi dentro ci siamo aperti”. Mi ci sono proprio rivista, mi sono sentita capita. Soprattutto all’inizio si sentiva molto questo contrasto, dentro ci si sentiva proprio esplodere, non necessariamente di cose positive. Ha dato voce un po’ a questa sensazione. Fa riferimento anche a quello di cui si parlava prima, cioè all’aprirsi a sé stessi e ascoltarsi di più?

Certo, assolutamente. Il fatto di non avere più la possibilità di fare ciò che prima facevi tranquillamente, banalmente anche solo andare a prendere una birra con gli amici. All’inizio ti devasta, poi ti lascia spazio per riflettere su te stesso, su quello che hai dentro che sia bello o brutto. Tutto questo ha lasciato dentro un vuoto, mi sono sentita vuota. E quindi poi mi sono detta che dovevo riempirlo, ma con cosa? Con me stessa. È stato devastante. Poi tutto quel silenzio che c’era…mi ha lasciato un vuoto. E sentivo sia da parte mia che da parte degli altri un bisogno di riempire questo vuoto, ma di cose futili, di distrazioni, di Facebook, di Netflix. Che poi in quel momento non erano affatto futili.

No, perché in quel momento ci hanno tenuto vivi!

Esatto. Questo vuoto era dovuto alla mancanza di rapporti sociali, anche solo una stretta di mano o un abbraccio. E tutto questo ha lasciato tanto spazio dentro.

30 aprile 2020

Per gentile concessione dell’artista

Magari questa cosa è stata vissuta diversamente da chi ha lavorato in smartworking e ha fatto comunque le sue ore di lavoro abituali, in quel caso sono entrate in gioco dinamiche diverse. Ma chi si è ritrovato improvvisamente a dover gestire una quantità di tempo immensa ed indefinita ha dovuto affrontare il fatto di doversi fermare per forza, restando da solo con i propri pensieri. Nel bene o nel male.

Sì, e credo sia tutta una questione di libertà. Ma noi la libertà ce l’abbiamo dentro, quindi sfruttiamola!

Mi interessa conoscere il punto di vista dell’artista in questo momento. Hai delle previsioni sul futuro dell’arte? Come pensi si possa uscire da questa situazione e affrontare le problematiche che ne derivano?

Mah, io sinceramente sono ottimista in questo momento – sperando che la realtà poi non mi si rivolti contro! Sono molto positiva perché ho visto che con gli strumenti che ho posso creare cose nuove. Per esempio adesso stiamo pensando, con una mia amica, di fare un nuovo diario insieme, stiamo lavorando ad un progetto sui miti e sulle leggende dell’Appennino, una sorta di diario illustrato sul territorio. Abbiamo già iniziato a parlarne con diverse persone che ce lo hanno approvato. Quindi mi sono trovata con la possibilità di fare qualcos’altro, e mi sono detta che allora sono riuscita a sfruttare questa quarantena come una possibilità e non come un momento di distruzione. Questo nel campo dell’illustrazione, mentre per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo è un po’ più complicato. Però credo che anche lì con inventiva e creatività si possano trovare nuove vie. Spero che questo periodo, nonostante tutto e la totale assenza di aiuto per gli artisti in questa crisi economica, sia servito a far rivalutare un po’ questo campo. So che non siamo nel paese giusto per fare questi discorsi, però la speranza è sempre l’ultima a morire. Ne abbiamo bisogno noi artisti ma ne hanno bisogno anche gli altri.

28 aprile 2020

Per gentile concessione dell’artista

Lo spero anche io, del resto l’arte serve a tutti: a chi la fa e a chi la guarda. Il diario di quarantena è finito qui, oppure no?

Sono in difficoltà, su questo. Perché è stato tutto molto veloce, da un giorno all’altro ha riaperto praticamente tutto. Quindi ci ritroviamo di nuovo spiazzati come lo eravamo all’inizio. Direi comunque che è finito perché non ci sono più in ballo le tematiche e le restrizioni del primo periodo, continuarlo sarebbe un po’ una forzatura. Però magari potrebbe continuare avendo degli altri sviluppi.

Diciamo che è finita la fase 1 del diario di quarantena…

Esatto! È stato un capitolo della vita, all’inizio sembrava non dovesse finire mai…ma adesso siamo qua.

11 maggio 2020

Per gentile concessione dell’artista

Sì, adesso ci affacciamo ad un altro periodo non facile ma sicuramente non sarà come la quarantena vera e propria.

Già. Io comunque sono contenta di aver disegnato per ricordare. Anche solo per essere qui adesso a riparlarne, mi fa piacere che non si dimentichi quello che ho fatto.

Penso che il semplice fatto che sia occasione di riflessione e discussione provi che sia giusto averlo fatto. Perché poi l’arte secondo me è tutta lì; se non c’è nulla di cui parlare e nulla da ricordare…tanto valeva non farla.

Proprio così!

13 maggio 2020

Per gentile concessione dell’artista

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